NON FIDARSI DEL PARTNER
Spesso si dice che la base di un rapporto sano sia la fiducia.
L’assenza di fiducia, infatti, può portare la coppia a non riuscire a rispettare i reciproci bisogni di autonomia e libertà, alimentando accesi conflitti.
Gelosia, rabbia, ansia, dolore, panico e colpa sono solo alcune delle emozioni che possono così conseguire.
Ma perché si arriva a non fidarsi del partner?
È realmente il partner ad alimentare quel senso di sfiducia o siamo noi ad essere troppo sospettosi?
È giusto fidarsi?
Proviamo a dare risposta a questi e molti altri quesiti che il tema solleva.
PERCHÉ NON CI SI FIDA?
Le situazioni che possono portare a vivere con sfiducia il rapporto di coppia sono tante e talvolta molto differenti tra loro.
Talvolta ciò che porta a non fidarsi del partner è l’atteggiamento che questo sta assumendo nei nostri confronti o nei confronti di persone esterne al rapporto.
Facciamo alcuni esempi.
IL PARTNER SEDUTTIVO
Un primo esempio di sfiducia che può nascere verso il partner è quello che caratterizza il rapporto con una persona molto bisognosa di sedurre il prossimo.
La seduzione, in questo caso, può assumere varie forme, non limitate alla pura e semplice dimensione erotica-sessuale.
Solitamente i tentativi di ammaliare l’altro avvengono esternando le proprie doti e competenze negli ambiti ritenuti i propri punti di forza.
In presenza di una spiccata cultura, ad esempio, il partner potrebbe sedurre l’altro iniziando discussioni su temi quali l’attualità, la storia, l’arte, e così via.
Diversamente, per partner sportivi la seduzione potrebbe esprimersi ostentando la propria bravura nei contesti in cui fossero presenti persone appassionate dello stesso sport.
Quale che sia la ragione alla base di tale bisogno compulsivo di sedurre, avere accanto una persona che trae particolare piacere nell’attrarre e ammaliare persone esterne alla coppia può portare il rispettivo partner a vivere con troppa gelosia e sfiducia il rapporto.
Alcune volte il partner è consapevole di questo suo bisogno di conquista, ma il più volte tutto questo sembra avvenire a sua insaputa.
Vani si mostrano, in questo caso, i tentativi che potrebbero essere fatti per portare il partner a capire e cambiare tale atteggiamento.
Quello che solitamente si verifica, al contrario, è la negazione e l’accusa:
« Sei tu che fraintendi. Ti fai troppe paranoie! »
Non di rado, a queste seguono anche articolate spiegazioni che lasciano il partner più confuso di prima:
« Sono solo mie paure oppure sta realmente cercando di fregarmi? »
Molte persone si rivolgono a uno psicologo proprio per risolvere il dubbio ossessivo se fidarsi o meno del partner.
IL PARTNER DISONESTO
Molti problemi di fiducia all’interno della coppia dipendono dall’atteggiamento disonesto assunto da uno dei due partner.
Benché un certo grado di disonestà sia presente in tutti i rapporti, un eccesso di bugie o il mentire su temi rilevanti per la coppia non migliora la relazione.
Al contrario, sembra accrescere il senso di sfiducia nel rispettivo partner.
Tanti possono essere i motivi per i quali il partner può arrivare ad assumere un atteggiamento disonesto e a mentire od omettere la verità.
In alcuni casi questo può dipendere dalla presenza di uno stile relazionale di tipo passivo-aggressivo.
Tale atteggiamento si esplica in un’accondiscendenza di facciata e nell’espressione e soddisfazione dei propri bisogni all’insaputa del partner.
Non è raro, inoltre, che tali bisogni vengano soddisfatti al di fuori del rapporto di coppia, come spesso capita in molti casi di tradimento del partner.
Altre volte, invece, il partner mente senza un vero e proprio intento aggressivo, ma per pura e semplice abitudine.
Parliamo in questi casi di un mentire che ha assunto nel tempo una vera e propria dimensione caratteriale.
Ne sono un esempio quei casi in cui la menzogna ha rappresentato in passato un modo per sopravvivere all’interno di un contesto familiare particolarmente repressivo o giudicante.
In altri casi ancora il mentire rappresenta l’espressione comportamentale di un disturbo di personalità.
Ossia, una condizione nella quale la persona può non essere del tutto consapevole della propria tendenza al mentire.
Molte persone fanno fatica a comprendere come una persona possa arrivare a mentire non sapendo di stare mentendo.
Arrivano spesso a credere che dietro la bugia vi sia sempre un’intenzione consapevole.
Quello che si scopre più da vicino, in realtà, è che la bugia in alcune persone è così radicata da arrivare al punto di rimanere oscura persino a se stessi.
La persona, in questi casi, è completamente immersa in una realtà illusoria e distorta, costruita artificiosamente dalla mente per non venire soverchiati da emozioni e sentimenti ingovernabili.
Spesso questo è il caso del Disturbo Istrionico di Personalità, dove il mentire rappresenta spesso un’operazione compiuta inconsapevolmente dalla persona per non entrare in contatto con una realtà troppo dolorosa da affrontare.
Chiaramente, questo discorso non vale per tutti i disturbi di personalità.
Ci sono infatti molte condizioni nelle quali il mentire esprime un’azione compiuta consapevolmente dalla persona per raggiungere manipolativamente i propri scopi.
Ne è un esempio il Disturbo Antisociale di Personalità, dove la disonestà rientra espressamente all’interno dei criteri diagnostici del disturbo.
La manipolazione, tuttavia, non sempre viene compiuta per fini prettamente aggressivi.
Il più delle volte, al contrario, dietro il tentativo manipolativo si nasconde la necessità di tenere lontana da sé una sofferenza di natura emotiva, come ad esempio capita nel Disturbo Borderline di Personalità.
A seconda della natura del disturbo (e non solo), pertanto, il mentire potrebbe rappresentare un qualcosa compiuto consapevolmente o meno, per fini manipolativi “maligni” o “benigni”.
La difficoltà nel distinguere tra finalità “maligne” e “benigne” del mentire e il bisogno di imparare a difendersi dalla manipolazione sono ciò che porta molte persone a non fidarsi del partner e a richiedere un aiuto esterno.
IL PARTNER INCOERENTE
L’incoerenza del partner è un altro di quegli aspetti che più frequentemente alimenta uno stato di sfiducia nella coppia.
Per “incoerenza” si è soliti intendere una discordanza tra ciò che viene detto dal partner e ciò che viene fatto da quest’ultimo.
In pratica, il partner dice una cosa, ma ne fa un’altra.
Tante le ragioni alla base dell’incoerenza.
Una prima spiegazione è che il partner, semplicemente, non ricorda quanto in precedenza ha promesso o dichiarato di voler fare.
È questo il caso, ad esempio, di persone facilone, distratte, impulsive, superficiali, imprecise, o, più in generale, tendenti a non porre particolare attenzione e importanza a ciò che dicono e propongono all’altro.
Un vasto ventaglio di aspetti della psicologia del partner può così essere chiamato in causa per dare ragione della dimenticanza alla base dell’incoerenza tra quanto detto e fatto dal partner.
Ad esempio, persone che non hanno nella precisione e coerenza i propri valori fondanti saranno chiaramente più inclini ad assumere un atteggiamento incoerente rispetto a chi, per contro, da a questi maggiore importanza.
O ancora, persone caratterialmente molto impulsive possono assumersi responsabilità troppo frettolosamente o senza tenerne sufficientemente in considerazione la reale fattibilità.
Come risultato, possono arrivare ad alimentare nell’altro aspettative che puntualmente finiscono per disattendere.
È questo il caso, ad esempio, di persone con un Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (Attention Deficit Hyperactivity Disorder, ADHD), una condizione di neurodivergenza spesso sotto-diagnostica nella popolazione adulta.
Anche l’eccessiva tendenza del partner a procrastinare può portare a non tener fede agli impegni presi nei tempi previsti e dichiarati, alimentando di riflesso conflitti più o meno accesi all’interno della coppia.
Naturalmente la dimenticanza non è l’unico fattore alla base dell’incoerenza del partner.
In molti casi, infatti, il fare promesse che alla fine non vengono mantenute può nascondere una tendenza del partner a sfruttare e approfittarsi dell’altro per raggiungere i propri scopi, come capita nei casi di narcisismo patologico.
E SE IL PROBLEMA FOSSE MIO?
Seppure in molti casi il partner può avere un ruolo attivo nel portarci a vivere sfiducia nella relazione, è pur vero che a volte tale sfiducia è più legata alla nostra persona che al comportamento del partner.
Facciamo alcuni esempi.
PAURA CHE LA RELAZIONE FINISCA
Avere paura che la relazione finisca può essere alla base della scarsa fiducia nel partner.
In che modo?
Per esempio, portandoci a immaginare che il nostro partner non abbia intenzioni serie, che si sia stufato del rapporto o che sia attratto da un’altra persona.
In pratica, alimentando in noi scenari molto spiacevoli che, come risultato, ci portano a distaccarci dal partner.
Tra le ragioni alla base della paura della fine della relazione può esserci:
- la forte sensibilità al senso di abbandono
- un’intolleranza verso il senso di perdita affettiva
- la difficoltà nei vivere il senso di solitudine
- un forte di senso di inadeguatezza
- il doloroso senso di esclusione dagli altri
Pregresse esperienze nelle quali abbiamo sofferto possono così averci sensibilizzato verso questi temi.
In simili casi, indipendentemente dal comportamento del partner, la nostra mente sarà così portata a dare a certi suoi comportamenti sempre la stessa spiegazione:
« Si comporta così perché ha un’altra persona! Mi lascerà »
« Se stesse realmente male non mi direbbe niente! Non posso fidarmi delle sue parole! »
Chiaramente, a seconda delle esperienze che abbiamo vissuto, i nostri pensieri potrebbero spingerci verso certi brutti pensieri, piuttosto che verso altri.
Persone che sono state lasciate per anni in collegio dai genitori, ad esempio, manifestano maggiormente il timore di venire abbandonati dal partner piuttosto che di perderlo.
Viceversa, persone che hanno perso uno o entrambi i genitori in giovane età potrebbero temere maggiormente scenari quali dipartita del partner per un grave incidente, una malattia fatale, etc.
Per contro, persone che hanno sempre vissuto in compagnia di fratelli, amici o coinquilini potrebbero mal tollerare il bisogno del partner di trascorrere del tempo da solo o con altre persone.
In tutti questi casi, quello che la mente può arrivare a compiere è porre una distanza affettiva del partner per proteggerci da una sofferenza emotiva.
In che modo?
Per esempio portandoci a:
- dubitare della sincerità e lealtà del partner
- travisare specifici comportamenti del partner
- convincerci che il partner stia tradendo, abbia perso interesse o ami un’altra persona
Come conseguenza di ciò, si potrebbe finire più o meno inconsapevolmente a:
- non affezionarsi troppo al partner (ad es., non rispondere subito ai messaggi, non fantasticare un futuro assieme)
- vedersi meno con il partner (ad es., inventare scuse per non incontrarsi o riempirsi la settimana di impegni per avere una valida scusa)
- non impegnarsi nella relazione (ad es., non pianificare assieme le vacanze o i momenti liberi, non risolvere conflitti)
- uscire più con amici che con il partner (ad es., dedicare solo poco tempo al partner nel corso delle settimane)
Come in un circolo vizioso, tali comportamenti potrebbero spingere il partner a un distacco che manterrebbe nella persona il senso di sfiducia iniziale.
DIFFICOLTÀ NELL’ATTACCAMENTO
Alcuni problemi di sfiducia possono anche dipendere da determinate caratteristiche del carattere.
Ne è un esempio, il modo specifico con cui ci si lega affettivamente al partner.
In psicologia sia è soliti usare il termine “stile di attaccamento” per descrivere questo fenomeno.
Per “stile di attaccamento” si intende il modo con cui il bambino ha imparato a soddisfare i propri bisogni di supporto e protezione all’interno della relazione con la principale figura di riferimento.
Solitamente tale figura è la madre, ma, in assenza di quest’ultima, può essere una qualsiasi altra persona che si prende solitamente cura di lui.
A tal proposito, se il bambino ho creato uno stile di attaccamento sicuro sarà portato a vivere ed esprimere a questa persona il bisogno di accudimento in modo diretto e senza problemi.
Piangendo, ricercherà questa figura tutte le volte che si sentirà solo, starà male o avrà paura, e si lascerà confortare da questa tutte le volte che tale persona arriverà in suo soccorso.
Si arrabbierà, qualora questa dovesse tardare nel dargli accudimento, ma nel giro di breve tempo sarà ben contento di ricevere l’accudimento atteso e desiderato.
Simili comportamenti avverranno così anche nell’età adulta nei confronti del partner, che verrà ricercato senza problemi in caso di bisogno e senza ingiustificati sensi di sfiducia.
Qualora invece il bambino avesse sviluppato uno stile di attaccamento insicuro, il bisogno di ricevere supporto sarebbe vissuto in modo problematico ed espresso in modo disfunzionale.
In particolare, si hanno due stili di attaccamento insicuro: quello ansioso-ambivalente e quello evitante.
ATTACCAMENTO ANSIOSO-AMBIVALENTE
In presenza di uno stile insicuro di tipo ansioso-ambivalente, il bisogno di supporto sarebbe vissuto con panico, espresso esternamente in modo enfatizzato e mai soddisfatto completamente.
In pratica, il bambino vivrebbe costantemente con l’angoscia da separazione, arrivando a:
- esprimere frequentemente e in modo vistoso i propri bisogni di cura, pur di mantenere la vicinanza della figura da cui si aspetta di venire accudito;
- non rilassarsi di fronte all’accudimento appena ricevuto, per non rischiare che tale figura possa allontanarsi esaudito il suo compito di accudimento.
Il bambino crescerà così con una predisposizione a sviluppare rapporti sentimentali adulti caratterizzati da dipendenza affettiva.
E dunque, dulcis in fundo, a vivere con costante sfiducia il rapporto di coppia.
ATTACCAMENTO EVITANTE
Diversamente, nel caso dello stile di attaccamento insicuro evitante, il bisogno di supporto sarebbe vissuto con disagio, colpa e disgusto, oltre che represso esternamente o soddisfatto in modo indiretto.
Ad esempio, il bambino potrebbe sentirsi debole e incapace nel sentire di avere bisogno dell’altro, arrivando al punto di negare a se stesso di avere tali bisogni e/o impedendosi attivamente di esprimerli.
In età adulta, la persona potrebbe così mantenersi costantemente in uno stato di sfiducia verso il partner per evitare di sentire il bisogno di cura nei suoi confronti.
ATTACCAMENTO DISORGANIZZATO
Vi è infine un’altra forma di attaccamento, nota come “stile di attaccamento disorganizzato”, che è tipica delle persone che hanno vissuto esperienze traumatiche relazionali fin dalla più tenera età.
In presenza di tale attaccamento, il partner viene visto come affidabile o inaffidabile a seconda di quanto, in un dato momento, ci si senta soli, stanchi, fisicamente sofferenti o bisognosi di supporto.
In una parola: vulnerabili.
La vulnerabilità, infatti, attiva stati mentali opposti tra loro.
Da un lato la vulnerabilità, percepita nel sentirsi troppo lontani dal partner, porta a desiderare quest’ultimo e a ricercarlo per ottenere da lui accudimento.
Quando è presente questo stato psicologico di abbandono, il partner viene idealizzato come buono, protettivo, emotivamente caldo, premuroso, disponibile e affidabile, e dunque visto come un salvatore verso cui protrarsi per riceveresupporto.
Dall’altro, la vulnerabilità, percepita nel sentirsi troppo vicini al partner, porta a provare verso quest’ultimo un senso di disgusto, disprezzo, paura e di repulsione e dunque a volersene distaccare.
In chi presenta un attaccamento disorganizzato, infatti, la vicinanza attiva inconsapevolmente ricordi di traumi occorsi fin dalla più tenera età da parte delle persone che avrebbero dovuto dare cura e amore.
Quando è presente questo stato mentale di minaccia, il partner viene così svalutato come cattivo, pericoloso, manipolativo, emotivamente freddo, trascurante, indisponibile e inaffidabile, ossia visto come un aggressore da cui proteggersi.
È solitamente in questa fase che si manifesta il senso di sfiducia nei confronti del partner, le liti senza fine e i vari tentativi di smascherarlo.
Nel complesso, chi presenta un attaccamento disorganizzato con il partner vede quest’ultimo in modo ambivalente non tanto perché sia il partner ad essere ambivalente, ma a causa del succedersi di stati mentali contrapposti.
Chiaramente, la congiunta presenza di tratti aggressivi, narcisistici, manipolativi o evitanti nel partner contribuisce a mantenere il problema di attaccamento, alimentando ulteriormente la propria confusione.
MA DUNQUE SONO IO O È LUI IL PROBLEMA?
Non fidarsi del partner è speso un qualcosa che dipende dalla combinazione delle difficoltà psicologiche di entrambi i partner.
Ad esempio, se da un lato troviamo un partner che cerca di colmare la propria bassa autostima seducendo il prossimo, dall’altro troviamo una persona insicura che rimane facilmente ammaliata da tale apparente stato di sicurezza.
O ancora, dietro un partner che accondiscende passivamente per non alimentare conflitti di coppia, dall’altro troviamo una persona dal forte carattere a cui piace avere il controllo della relazione.
L’entità del problema psicologico può naturalmente differire tra i due partner, ma solitamente è presente in entrambi i membri della coppia.
Sembra come se alcune persone non si scelgano solo per “chimica”, ma anche perché certe cose che vedono nell’altro non sono loro del tutto estranee.
Richiamano infatti qualcosa che hanno vissuto nel loro doloroso passato.
Sia chiaro, non si sceglie un partner per soffrire e stare peggio.
Piuttosto, la scelta, consapevole o meno che sia, è più volte legata alla speranza che l’altro possa finalmente soddisfare un bisogno che a lungo è rimasto insoddisfatto.
Sia esso d’amore, considerazione, attenzione, affetto, valore e così via.
Il problema è che tale ricerca porta spesso come esito a trovare un partner che non soddisfa tali bisogni nella stessa maniera in cui avveniva in passato.
È questo il caso, ad esempio, di tutte quelle persone che soffrono di dipendenza affettiva.
Ossi, persone fortemente bisognose di affetto, valore e riconoscimento che rimangono invischiate in pseudo-rapporti con partner poco propensi a dare loro ciò di cui hanno bisogno.
Come in questo caso, il risultato a cui si assiste è, con grande probabilità, la nuova frustrazione dei propri bisogni.
Verrebbe dunque da chiedersi come mai si continui a rimanere invischiati in simili relazioni quando ci si rende conto che il partner non può dare ciò che si sta cercando.
La risposta è semplice: la speranza che, questa volta, tale bisogno possa finalmente venire soddisfatto.
Molti problemi di fiducia nascondo alla base simili dinamiche disfunzionali, talvolta non semplici da riconoscere e districare.
COME COSTRUIRE DUNQUE UN RAPPORTO EQUILIBRATO?
La possibilità di creare una relazione di fiducia può dipendere da vari fattori.
Uno di questi è chiaramente il riconoscere e risolvere le difficoltà personali dei singoli membri della coppia, oltre a quelle legate alla coppia stessa.
Qualora fosse l’atteggiamento del partner ad alimentare maggiormente il senso di sfiducia e di instabilità nella relazione, si mostrerebbe appropriato invitare quest’ultimo a svolgere un percorso autonomo o di coppia.
Ad esempio, il partner potrebbe essere aiutato a comprendere le ragioni alla base della sfiducia percepita dal corrispettivo per alcuni dei suoi comportamenti.
Discorso analogo varrebbe nei casi in cui il non fidarsi del partner fosse maggiormente legato a nostre difficoltà personali.
Anche in questo, l’inizio di un percorso individuale potrebbe aiutarci a sviscerare alcune di queste dinamiche, modificandole con pensieri e comportamenti più funzionali.
Ne sono un esempio, quegli interventi volti ad elaborare esperienze traumatiche occorse in precedenti relazioni.
Tutto questo al fine di aiutare la persona a trovare un proprio senso di sicurezza e protezione in modo autonomo.
Discorso a parte meritano invece quei casi, più comuni, nei quali simili problemi di sfiducia sembrano legati all’atteggiamento di entrambi i partner.
In simili casi, le soluzioni possono essere duplici:
- compiere un percorso individuale parallelo con due distinti specialisti, possibilmente collaboranti tra loro;
- intraprendere una terapia di coppia.
Nel primo caso, gli specialisti potrebbero creare insieme ai membri della coppia un insieme di regole relazionali a cui entrambi i partner sarebbero chiamati.
Questo si è visto utile al fine della costruzione quell’equilibrio che la coppia starebbe facendo fatica a raggiungere autonomamente.
Nel secondo caso, al contrario, lo specialista potrebbe aiutare la coppia, presa come entità a sé, a comprendere le ragioni della sua instabilità.
In questo, verrebbero proposti compiti e obiettivi di cambiamento individuali e di coppia nello stesso percorso.
CONCLUSIONI
Il senso comune vuole che la fiducia sia la base di un rapporto sano ed equilibrato.
La psicologia si schiera con il senso comune, riconoscendone l’implicazione da più punti di vista.
La possibilità per entrambi i partner di fidarsi e affidarsi l’uno all’altro, infatti, rende merito dell’importanza della relazione di coppia quale fattore protettivo per lo sviluppo di diverse condizioni di disagio psicologico.
Per contro, la presenza di una relazione caratterizzata da sfiducia espone al rischio di intensificare problematiche già presenti o svilupparne di nuove.
Richiede il parere di un esperto può talvolta costituire una scelta utile anche in chiave preventiva, tanto per se stessi, quanto per il partner e la coppia.