EMETOFOBIA: LA PAURA DI VOMITARE

paura di vomitare

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Carla sta trascorrendo un periodo particolarmente stressante.

Si è lasciata da qualche mese con Mirko, il compagno con cui ha trascorso gli ultimi 10 anni della sua vita, ed ora si sente particolarmente angosciata.

Fatica a costruire una nuova identità, al punto da avvertire una forte difficoltà a rapportarsi con persone che non conosce.

Teme infatti di non riuscire a trasmettere un’immagine di sé accettabile agli occhi degli altri e di apparire come una persona strana e problematica.

Si è sempre sentita un po’ diversa, in effetti, dando fin troppa importanza al giudizio degli altri, e questo da prima di conoscere Mirko.

Potremmo dire che Carla è sempre stata una ragazza timida, anche se  questo non le ha mai impedito di costruire dei buoni rapporti di amicizia e di avere una lunga relazione sentimentale.

Fino ad ora, per lo meno.

Attualmente infatti avverte la spiacevole sensazione di essere fragile e vulnerabile, malgrado la sua età.

Carla sa di aver fatto probabilmente troppo affidamento sul suo compagno, su cui spesso si era aggrappata  per colmare le proprie difficoltà caratteriali; ed ora che la relazione è venuta al termine, le sembra che tutti i suoi problemi stiano venendo in superficie, comprese preoccupazioni che non credeva di avere.

Tra queste c’è la paura di vomitare in pubblico.

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CHE COS’È L’EMETOFOBIA

Una parola composta di origine greca (“emein” = “vomito”, “fobia” = “ paura”) utilizzata in ambito specialistico per indicare un timore piuttosto comune di origine ansiosa: la paura di vomitare.

Una preoccupazione, dunque, più che un vero e proprio disturbo.

Chi ne soffre utilizza spesso questa parola pensando di riferirsi ad una sindrome ben nota tra gli specialisti.

Niente di più lontano dalla realtà clinica.

Più spesso, infatti,  è il paziente a mostrarsi più colto di quanto non siano gli psicologi o gli psichiatri a cui si rivolge circa la corretta nomenclatura del problema lamentato.

Il motivo, tuttavia, non sarebbe tanto legato ad una reale condizione di ignoranza dello specialista, quanto piuttosto al progressivo decadimento dell’importanza dei termini tecnici proposti per indicare specifiche paure.

Oggigiorno si tende a prediligere la comprensione del funzionamento psicologico del problema ansioso di cui soffre la persona, più che ad attribuire ad esso un nome specifico.

Per come la si vuole chiamare, in fin dei conti, una paura resta sempre una paura.

Questo il razionale che ha portato al progressivo disuso del termine.

Discorso in parte differente merita l’apposizione di una corretta diagnosi, aspetto quest’ultimo controverso che esula dallo scopo di questo articolo.

L’Emetofobia rientra all’interno della categoria dei disturbi d’ansia presenti all’interno del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), configurandosi come una Fobia specifica.

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COME SI MANIFESTA L’EMETOFOBIA

Come ogni manifestazione ansiosa, anche in quella dell’Emetofobia sembra possibile riconoscere almeno tre diversi livelli descrittivi.

LIVELLO COGNITIVO

Quando Carla si trova in un contesto affollato la mente disegna sempre lo stesso scenario: lei in preda ad intensi e incontrollabili conati di vomito che la portano improvvisamente ad attirate l’attenzione di tutte le persone lì presenti.

Benché simili scenari non si siano mai verificati, Carla li teme come se potessero verificarsi improvvisamente ogni qual volta la sua mente glieli mostra.

Si tratta dunque di pensieri, espressi in questo caso sotto forma di immagini mentali, che assalgono Carla in diversi momenti della sua giornata.

Nel suo caso, ogni qual volta si trova in mezzo a persone di cui potrebbe temere il giudizio, siano essi amici o sconosciuti.

Spesso tali immagini mentali seguono una serie di pensieri ridondanti circa la possibilità che quanto da lei temuto possa capitare da un momento all’altro:

paura di vomitare

Inutile dire che tanto più tali pensieri si fanno intensi e ricorrenti, quanto più l’ansia di Carla aumenta esponenzialmente.

Chiaramente non per tutti la preoccupazione di vomitare assumere le caratteristiche di ansia sociale manifestate da Carla.

Per altri, infatti, la preoccupazione del vomito può associarsi al timore di

  • morire soffocati per ostruzione delle vie respiratorie, come capita nelle problematiche di ansia da panico;
  • recare danni irreparabili al tratto esofageo, come capita nelle problematiche di ansia da malattia;
  • sporcarsi o di poter sporcare altri con una sostanza ritenuta particolarmente disgustosa, come capita nelle problematiche ossessivo-compulsive; etc.

Indipendentemente dalla natura di questo timore, ciò che si manifesta in modo trasversale nell’Emetobia è la paura per l’incontrollabilità del riflesso gastrico.

LIVELLO FISIOLOGICO

Non sempre Carla ha piena consapevolezza di queste immagini mentali negative.

Più spesso, infatti, ciò che vive è una serie di “scosse” interne piuttosto intense e improvvise, che dalla testa si dirigono verso il basso, spesso proprio verso lo stomaco.

Non arriva mai al vomito, in effetti, ma la sensazione è sempre di essere sul punto di poter rimettere.

Delle volte ha dei conati senza che a questi si accompagni una fuoriuscita di quanto presente nello stomaco.

Quando questi si verifica, aumenta naturalmente anche la preoccupazione di stare effettivamente per rimettere.

Nel corso del tempo Carla ha imparato ad identificare una serie di sintomi che anticipano queste ”scosse”:

  • il fiato si fa più corto, come se fosse bloccato dalla pancia, che per contro si contrae;
  • la gola sembra quasi dilatarsi, portando di riflesso i muscoli della mandibola a contrarsi per evitare eventuali fuoriuscite;
  • l’attenzione si orienta prontamente su tutte le sensazioni interne insolite che potrebbe percepire.

Come in ogni forma d’ansia, dunque, i pensieri negativi non rimangono mai isolati, ma si associano ad una più o meno intensa reazione del corpo.

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Tale attivazione varia da persona a persona, benché interessando prevalentemente l’attività:

  • gastro-intestinale (es., stipsi, dissenteria, gonfiori) e oro-faringea (es., nodo o bruciore alla gola)
  • cardiovascolare (es., aumento del battito cardiaco)
  • respiratoria (es., aumento della respirazione)
  • muscolo-scheletrica (es., mal di testa musco-tensivo, scosse muscolari)
  • elettrodermica (es., sudorazione)
LIVELLO COMPORTAMENTALE

Ogni qual volta inizia a percepire tali segnali del corpo, Carla è portata a scappare da dove si trova.

È una reazione per lei così naturale da averla portata nel corso degli anni ad evitare persino i luoghi che un tempo le davano grande piacere, come i teatri e le piscine.

Non solo.

Sapendo di doversi recare in un luogo affollato, Carla studia minuziosamente l’alimentazione del giorno, evitando cibi che ritiene possano portarla ad accrescere la probabilità di rimettere.

Cibi ricchi di grassi o molto calorici sono i primi ad essere evitati.

Come pure i liquidi, consumati in quantità molto limitate durante tutto il tempo di esposizione sociale.

Non è persino infrequente per Carla saltare completamente il pasto, salvo poi recuperarlo alla sera o in un altro momento utile.

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Questa variazione dell’alimentazione ha portato Carla a perdere diversi chili nel corso dei mesi, ma questo non sembra pesarle.

I suoi amici, infatti, sembrano apprezzare questa nuova immagine estetica acquisita dal termine del rapporto con Mirko, e l’idea di essere una donna piacente non le dispiace di certo.

Ciò che pesa a Carla è il forte regime di controllo a cui sente di doversi attenere, pena il rischio di perdere il controllo e rimettere davanti a tutti.

Ci sono giorni, tuttavia, in cui Carla non riesce ad evitare il contatto con altre persone, come ad esempio capita durante i lunghi meeting aziendali a cui per lavoro è tenuta a partecipare.

È in tali casi che l’ansia della donna si fa più intensa.

Quando nella sua mente iniziano ad accavallarsi quelle immagini e quei pensieri, Carla si sforza con tutta se stessa di distrarsi e di pensare ad altro, persino a cantare tra sé e sé, quando necessario.

Quelli di Carla sono chiaramente alcuni dei comportamenti più comuni tra quelli che caratterizzano le condotte dell’Emetofobia.

Ciascuno solitamente tende a compiere quelle azioni che in passato hanno permesso di allontanare il pericolo temuto.

Non esistono comportamenti predefiniti, benché tutti hanno in comune la stessa finalità: evitare che l’evento temuto possa verificarsi.

COME SI SVILUPPA L’EMETOFOBIA

Non appena si è lasciata con Mirko, Carla ha iniziato a vivere uno stato di forte angoscia.

Difficoltà a prendere sonno, problemi di dissenteria, mal di testa e crisi di pianto sono solo alcuni dei vissuti che nell’immediato hanno caratterizzato l’interruzione della relazione sentimentale.

Una sera, durante una cena con i colleghi, la donna ha iniziato a soffrire di acidità di stomaco e un forte rigurgito di quanto appena mangiato ha iniziato a disturbarla per tutta la serata.

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Questo evento l’ha particolarmente spaventata.

Carla non ha dunque perso tempo per lasciare la compagnia e tornare a casa, assecondando ciò che in quel momento l’ansia le stava suggerendo: andare via dal locale.

Nei giorni successivi quella stessa acidità si era ridotta, ma mai completamente, al punto da portare la donna a coglierne la presenza durante diversi momenti della sua giornata.

Dopo un primo accertamento del medico, alla donna venne diagnosticato un problema di reflusso gastro-esofageo causato probabilmente dallo stress.

Niente di cui preoccuparsi, certo, ma l’idea di poter rimettere da un momento all’altro aveva oramai iniziato a insinuarsi nella mente della donna.

Diversi erano stati i giorni in cui Carla aveva preferito trascorrere le proprie serata in casa da sola anziché nei pub e nei locali dove sovente veniva invitata.

Tutto, naturalmente, per il timore di rimettere in pubblico.

Benché questo iniziale evitamento sembrava permettere a Carla di ridurre lo stress delle sue giornate, con il tempo aveva sempre più limitato la sua autonomia.

non uscire più di casa

Carla sentiva di essere arrivata al punto di non riuscire più ad uscire di casa senza che per questo la paura di rimettere le facesse visita.

Ogni situazione capace di indurre nausea o confusione accresceva l’ansia di Carla, costantemente bisognosa di controllare minuziosamente le reazioni  del suo corpo.

Come accade a Carla, non è infrequente che le problematiche di Emetofobia insorgano a motivo dei comportamenti adottati per fronte al rischio di rimettere.

In molti casi è possibile altresì ritrovare nella storia di vita degli episodi durante i quali l’atto del vomito è stato associato ad un’esperienza particolarmente spiacevole (es., derisione da parte dei coetanei, rimproveri familiari).

In simili casi si parla solitamente di “sensibilizzazione” al riflesso del vomito legata ad esperienze di vita.

COME SI CURA L’EMETOFOBIA

Così come nel corso nel tempo ci si è sensibilizzati al riflesso del vomito, allo stesso modo è possibile compiere l’operazione inversa: desensibilizzarsi.

La desensibilizzazione sistematica, nello specifico, esprime una procedura impiegata all’interno della Terapia Cognitivo Comportamentale per ridurre il potere che determinati stimoli hanno acquisito di produrre in noi dei vissuti di forte ansia.

In pratica, si cerca di contrastare la tendenza ad allontanarsi da tale vissuto, provando quanto più ad esporsi alle circostanze in cui si crede che tale timore possa sopraggiungere.

Il tutto naturalmente cercando quanto più di rilassarsi.

Non lo si fa in modo immediato, certo, ma in modo progressivo, a partire dai contesti che suscitano meno ansia, per arrivare infine a quelli che spaventano maggiormente.

Chiaramente l’esposizione alle situazioni temute avviene solo dopo aver insegnato alla persona alcune semplici tecnici di rilassamento, quali la respirazione diaframmatica o il rilassamento progressivo muscolare.

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Benché di chiara efficacia, la desensibilizzazione raggiunge la sua massima efficacia quando inserita all’interno di un preciso piano terapeutico individualizzato.

Tale piano dovrebbe prevedere la chiara definizione di tutti i fattori di mantenimento del problema emotivo.

Prendendo come esempio il caso di Carla, avremmo tra i fattori di mantenimento:

  • i comportamenti di restrizione alimentare, le fughe e gli evitamenti delle situazioni temute (fattori comportamentali)
  • i tentativi di soppressione o di distrazione dai pensieri ed immagini negative (fattori cognitivi)

Una buona valutazione psicologica dovrebbe dunque portare a riconoscere tutti quesiti fattori , al fine di stabilire per ciascuno di questi delle specifiche procedure terapeutiche.

Ad esempio, sappiamo che Carla non si spaventerebbe all’idea di rimettere in pubblico a causa di un problema di natura medica, come può essere un’intossicazione alimentare.

Sa infatti che le persone lì presenti non la giudicherebbero negativamente per tale comportamento, laddove questo venisse ricondotto a fattori esterni alla sua persona, quali la negligenza di un ristoratore.

In altre parole, non pensa di poter venire esclusa a causa di un problema che tutti avrebbero potuto contrarre mangiando cibo avariato in uno dei tanti locali della città.

Quanto invece teme Carla è l’idea di venire improvvisamente giudicata dagli altri a motivo di sue supposte mancanze caratteriali.

allontanare una persona

Non a caso la sua storia sentimentale era nata proprio innamorandosi del ragazzo più in voga del suo corso di studi, aumentando a suo giudizio la propria considerazione all’interno dell’Università.

Una buona comprensione del caso porta così ad intervenire non soltanto sul sintomo (es., paura di vomitare), ma anche su tutte le aree della persona che contribuiscono a limitare la qualità di vita (es., bassa autostima).

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