PROFONDA TRISTEZZA

profonda tristezza

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La tristezza è l’emozione che più delle altre ci fa vivere il bisogno di essere accuditi e protetti.

E tanto più intensa è questa emozione, quanto più intenso è questo bisogno.

Questa, d’altronde, è considerata la sua funzione biologica: portare le figure con cui abbiamo creato un forte legame affettivo a prendersi cura di noi.

Tutto questo ci porta dunque a riconoscere l’importante effetto interpersonale che questa emozione ha sulle figure per noi più significative: attiva in loro il bisogno di accudirci.

Dove c’è una persona che prova tristezza e il desiderio di essere accudita, ce n’è dunque almeno un’altra che, nel vederla, prova un sincero sentimento di commozione e il desiderio di farla stare meglio.

Ma accade realmente sempre questo?

La risposta viene da sé.

profonda tristezza

La complessità della vita è infatti tale da portare ciascuno di noi a reagire a questo vissuto in modo differente a seconda della propria genetica, dell’educazione familiare ricevuta, delle esperienze pregresse, e così via.

Ci sono persone, ad esempio, che hanno difficoltà ad accettare questa emozione.

Specie se in precedenza non sono riuscite a trovare delle relazioni affettive capaci di poterle far sentire accudite, protette, amate.

Queste persone hanno spesso avuto genitori fortemente orientati a farle diventare fin da subito autonome e indipendenti.

Anche nelle loro capacità di prendersi cura di sé.

Per queste persone, dunque, l’unica via trovata in passato per mantenere il legame con il genitore è stata la vita dell’autonomia emotiva.

Non c’è da stupirsi, pertanto, se la tristezza, quale emozione che più delle altre ha una dimensione interpersonale, le porti a vivere un profondo stato di ansia.

Dietro i loro timori, infatti, si annida la paura antica di poter perdere quel rapporto con il genitore mantenuto nell’unico modo per loro possibile: non chiedendo mai affetto, mostrandosi sempre forti e autonomi.

<< Guarda quanto sono bravo! >>

profonda tristezza

Per queste persone, dunque, la tristezza non attiva l’immaginario di una cura amorevole che verrà loro offerta da una figura comprensiva e responsiva dei loro bisogni emotivi, quanto piuttosto un’immagine di solitudine e di impotenza.

Verrebbe dunque da chiedersi quale strada sia possibile seguire per cambiare le sorti di un destino che ha negato loro il “piacere” di poter manifestare apertamente la propria sofferenza.

Semplice la risposta: non fuggire da questa emozione, ma imparare a mostrarla all’esterno.

Là fuori, infatti, c’è da tempo chi attende per accogliere i loro bisogni.

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