PESSIMISMO
Il pessimismo è a tutti gli effetti un modo per proteggersi dalla sofferenza.
Che sofferenza?
Quella che consegue dalla frustrazione di un’aspettativa.
L’aspettativa di successo, per esempio.
Pensare di non riuscire a raggiungere un dato obiettivo porta infatti a ridurre la delusione del fallimento.
Aspettandoselo, in pratica, ci si preserva dal rischio di trovare conferma al timore di essere una persona incapace.
Altre volte, invece, il pessimismo nasconde il timore della frustrazione di altre aspettative.
Quella di accudimento, per dirne un’altra.
Mantenendosi convinti che tutti in futuro ci abbandoneranno, ci si protegge da un tipo di dolore forse già vissuto in passato.
Quello provato quando realmente si è stati abbandonati.
CONVIENE TALE STRATEGIA?
Se il nostro intento è ridurre una simile sofferenza, funziona eccome!
Non di certo per vedere soddisfatti i propri bisogni.
Bisogni di autorealizzazione, bisogni di inclusione, bisogni di affetto.
In casi simili quanto viene richiesto è di correre il rischio.
DI COSA?
Di soffrire di nuovo.
Come accaduto in passato.
PERCHÉ FARLO?
Beh per esempio perché oggi, rispetto al passato, si hanno spalle un pò più larghe per attutire il colpo.
O persone che potrebbero essere pronte ad accogliere il bisogno di venire confortati in caso di delusione.
Ma soprattutto perché ci si accorge che, alla lunga, il gioco non vale la candela.
Non vale la pena proteggersi dalla sofferenza se poi alla fine la vita si riduce solo a sopravvivere.
Possiamo di più.
Meritiamo di più.
Anche se a volte ci diciamo tutto il contrario.
Anche se a volte vorremmo che ci convincessero del contrario.
Che alcune persone stessero lì.
A lottare contro il nostro pessimismo.
A far nascere in noi la speranza.
La speranza di diventare ciò che già siamo.